1. Guglielmo cercava di capire se il cattivo odore arrivasse dalle sue Nike rosso Ferrari.
    Le fissava intensamente come se potessero smentire quella sgradevole sensazione.
    Come se potessero scusarsi.
    Martina aveva messo su il caffè e aspettava in piedi davanti ai fornelli, una mano sulla bocca come quando si riflette su qualcosa.
    Le tazzine sul tavolo erano spaiate, di due servizi differenti.
    - Cos'hanno di così interessante le tue scarpe?
    - Nulla, nulla. Vedo che il rubinetto perde ancora.
    - E lo farà per molto tempo. Vuoi ripararlo te?
    - Se papà fosse stato qui il rubinetto...
    - Sì, ma non è qui. E' morto. E il rubinetto perde.
    - Già.
    Martina versò il caffè fino all'orlo delle tazzine orfane.
    L'aroma riempì la piccola cucina.
    - Veramente volevo un goccio di latte...
    - Io non bevo latte.
    - Non hai mai ospiti?
    - Sì, ma sono allergici al latte.
    - Non avresti mai potuto sposarti, Martina. Non con questo carattere.
    - Non sai nulla del mio carattere e te, Guglielmo, sei più solo di me nonostante il matrimonio.
    - Questa è filosofia spiccia.
    - Scopi ancora con Teresa?
    - Lasciamo perdere. Non sono venuto per litigare.
    Martina bevve d'un fiato il caffè e lasciò cadere la tazzina nel lavello.
    - Com'era?
    - Buono.
    - Buono come?
    - Come può esserlo un buon caffè.
    - Ho mischiato un paio di miscele.
    - Era buono.
    Martina fece per prendere l'altra tazza ma Guglielmo glielo impedì con un gesto gentile della mano.
    - Lascia. Faccio io.
    Le sciacquò entrambe e le ripose nel gocciolatoio.
    Guglielmo tornò a sedersi.
    - Ti dà fastidio se fumo?
    - Ci sono cose che odio di più.
    - Lo prendo come un sì.
    Il pacchetto di Pall Mall blu aveva visto giornate migliori.
    Guglielmo accese la sigaretta e stette un momento a fissarla.
    - C'è una persona che è interessata alla casa.
    - Non ho voglia di parlare della casa ora.
    - Lunedì alle sei la accompagno a vedere tutta la proprietà. Chiediamo a Marco se vuole guadagnarsi cento euro. Il giardino sembra una giungla.
    Martina fissava il vuoto.
    - Marco lavora a Terni.
    - A Terni? E da quando?
    - Un mese. Più o meno.
    - E cosa è andato a fare?
    - Credo faccia l'operaio in un impianto chimico.
    Guglielmo sorrise amaramente.
    - Ha preferito la sopravvivenza all'avventura. Peccato.
    - Parli proprio tu che hai passato tutta la vita dentro un ufficio postale a litigare con i pensionati.
    - Sì, ma io non so fare nulla. Marco invece ha le mani d'oro.
    - Sarà un altro elettore della Lega.
    - Cioè?
    - Chi fa una vita di merda vota Lega.
    - Ce l'hai ancora con me? Carlo è un mio compagno di classe. L'ho votato per amicizia.
    Guglielmo si alzò dalla sedia di paglia intrecciata, prese il loden fuori moda e si allacciò la sciarpa di lana grossa al collo. Mise il cappello.
    - Ieri è passato Tonino. Mi ha chiesto se può cogliere le olive.
    - A Gennaio non si colgono le olive. Se vuole, però, può potarci le piante.
    - Tonino è una brava persona.
    - Sì, ma fa un olio di merda. Cerco di trovare qualcuno per il giardino. Ricorda: lunedì alle sei sono qui.
    - Guglielmo, quand'è che siamo diventati così?
    - Così come?
    - Brutti.
    - Lo siamo sempre stati, Martina. Continua a giocare con le tue miscele. Sono buone.
    Guglielmo chiuse la porta senza voltarsi.
    Martina accese la televisione e si versò un bicchierino di grappa.
    Avrebbe dovuto accendere il camino.
    Iniziava a far freddo.




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  10. C'è il ronzio del climatizzatore che non la vuole smettere.
    ZZZZZZZZZZZ
    Fuori dalla stanza trentacinque gradi, dentro ventitré.
    Stasera avrò le vertigini e male alla schiena.
    Il vestito di mio zio è di un marrone chiaro, camicia bianca cravatta blu.
    Le scarpe hanno la stessa tonalità di marrone, come la cinta, del resto.
    Il pallore del viso vira al giallo, le mani incrociate sul petto sono gonfie, i radi capelli pettinati all'indietro.
    E' morto nel giro di pochi mesi.
    Il tempo di capre meglio perché una tosse insistente non voleva andarsene.
    Scherzava con il gatto quella sera che sono andato a trovarlo a casa.
    Una bella casa, dove ci si invecchierebbe bene.
    Sicuro.
    Mio zio aveva delle passioni, era vivo, aveva un mondo che ora è immobile.
    Impolverato dagli anni che si andranno ad accumulare, inesorabili.
    Esco dalla camera ardente, mi siedo su un muretto di mattoni.
    Vorrei saper fumare.
    Poco lontano c'è un ragazzo, magro, con i capelli castano scuri, spettinati.
    Anche lui ha una camicia bianca che stasera finirà in lavatrice.
    Piange come non sto facendo io.
    Piange molto.
    Mi avvicino e gli chiedo di lui, del suo pianto.
    - Piacere, io sono il nipote. Presumo conoscesse mio zio...
    - Piacere mio. Sì io e suo zio avevamo un'associazione insieme. Facevamo beneficenza...
    A volte dare del lei avvicina le persone.
    - Beneficenza?
    - Sì, suo zio era un uomo molto generoso...
    - Non lo metto in dubbio, anche se questo suo aspetto mi era completamente sconosciuto.
    Come altri, probabilmente.
    Mi racconta di cene irripetibili, di tramonti davanti al golfo di Gaeta.
    Siamo quelli che agli occhi delle persone sembriamo. Non conoscevo mio zio, evidentemente. Sapevo di lui quello che tra i parenti si lascia in eredità. Un mix di luoghi comuni perpetrati negli anni con la complicità di tutti coloro che credono a ciò che mai hanno sperimentato di persona. Sapeva raccontare le barzellette, amava il mare, era un uomo che sapeva cucinare. Fu un ottimo atleta e imprenditore.
    Poco, insomma.
    Quello che probabilmente ci sarebbe stato scritto su Wikipedia.
    Quanto ci costa capire, conoscere, non fermarsi al primo gradino.
    Adesso chi si occuperà di mio zio, di quello che è stato in vita? Dei suoi progetti sospesi, dei compleanni che mai farà, dei baci ai nipoti a Natale? Delle barzellette che mai conoscerà, che mai potrà raccontare?

    Sono passati degli anni.
    I primi strati di polvere.
    Sento ancora la sua voce. Voce di emigrante finito a Milano per sopravvivere.
    Non c'è tempo per recuperare il terreno perduto.
    Non c'è spazio.
    Rimane solo quello che sarebbe potuto essere.


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#pensierididubbiautilità
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